Lungi dal non esser contento per una eventuale somma che lo Stato destinerebbe per sanare il debito del Comune di Reggio Calabria (cosa che, se dovesse davvero verificarsi, lo si dovrebbe fare anche con gli altri 150 Comuni in pre-dissesto), mi preme precisare che questa “elargizione” governativa (sovvenzione a scopo propagandistico) non esiste, è stata annunciata come se fosse vera. Oltre a non esistere, preciso che una eventuale destinazione di tale somma, pari a 200 milioni di euro in tre anni, per quanto se ne sia discusso nel Consiglio dei Ministri, sarebbe da suddividere tra i Comuni della Città Metropolitana di Reggio Calabria che si trovano in situazione di pre-dissesto, al pari del Comune capoluogo di Provincia. Per concludere: nessun salvataggio da un eventuale – spero mai – dissesto finanziario del Comune, ma solo un ulteriore melma di bugie – l’ennesima di una miriade – che in questi anni hanno consentito agli attuali politicanti di illudere gli elettori facendo campare in aria cose inesistenti, un po’ come sapevano fare i giullari nelle corti. Una ultima precisazione: chi festeggiava la morte della città erano proprio questi politicanti, quando nel 2012 si esultava per un commissariamento – quello sì ingiusto -, chi stava dall’altra parte delle barricate durante la Rivolta di Reggio, erano i nonni, gli zii, i padri di questi politicanti che anche allora andavano contro la nostra amata città mentre uomini valorosi hanno perso la vita in quelle battaglie; chi ha portato il debito del Comune da 100 milioni del 2012 a 400 milioni attuali, sono sempre gli stessi politicanti, proprio coloro i quali non hanno saputo attuare politiche sui rifiuti, sul lavoro, sulle infrastrutture, sui beni pubblici, sul turismo, sui servizi essenziali, sulla manutenzione e sulla cura della città. Un manipolo di incapaci non può avere una seconda possibilità di elezione. Mandiamoli via una volta per tutte!
Ma veniamo al significato del “debito ingiusto”; ricadono nella categoria innanzitutto i debiti contratti dai vari Commissari straordinari, dagli attuali politici, ovvero da soggetti non eletti dalla popolazione; tutti debiti riguardanti la gestione “extra ordinem” dei commissari straordinari e dell’amministrazione politica dal 2014 ad oggi; quelli discendenti da contenzioso per la stipula di contratti, concessioni di appalti e per tutti gli atti ed i provvedimenti emessi sia dai Commissari, sia dal sindaco, in deroga alle ordinarie procedure di controllo politico ed amministrativo del Comune di Reggio Calabria; quelli che trovano la loro fonte generatrice in contratti di mutuo stipulati a tassi di interesse fuori mercato, in quanto o illegittimi formalmente perché assunti da organi incompetenti o in quanto illegittimi, perché assunti in conflitto di interesse con il perseguimento dell’interesse economico generale.
Non possono essere i reggini a pagare il prezzo di tutto questo per ben due volte: la prima per i commissari, la seconda per l’attuale sindaco e la sua giunta.
Vorrei far comprendere bene la questione della situazione finanziaria di un ente locale come il Comune di Reggio Calabria. Prima di tutto le statistiche dividono gli enti locali in tre gruppi di sofferenza finanziaria. I comuni deficitari, quelli in pre-dissesto e quelli in dissesto vero e proprio.
Sono deficitari quegli enti che sforano almeno cinque dei dieci parametri stabiliti dal decreto ministeriale del 18 febbraio 2013, per esempio un saldo negativo del risultato contabile di gestione superiore al 5% delle entrate correnti, oppure l’eccessiva quota di residui attivi o passivi in relazione a spese.
Il cosiddetto pre-dissesto è stato introdotto nel 2012. Si tratta di una procedura che i comuni in crisi strutturale possono mettere in atto per evitare il dissesto vero e proprio, e consiste in un piano di riequilibrio pluriennale che può essere assistito dallo Stato, il quale può anticipare risorse attingendo ad uno specifico fondo, il Fondo rotativo. In sostanza l’obiettivo della procedura del pre-dissesto è aumentare le entrate dei Comuni e diminuire le spese: ecco perché solitamente gli enti che scelgono questa opzione vedono impennare la pressione fiscale e talvolta tagliare i propri servizi.
La legge dice che un Comune è in dissesto finanziario quando “non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili” oppure quando “esistono nei confronti dell’ente locale crediti di cui non si possa far validamente fronte. In pratica, si tratta a tutti gli effetti di enti che dichiarano il fallimento. Per semplificare, la differenza con il pre-dissesto è la maggiore gravità della situazione. Nel caso del pre-dissesto, i Comuni possono presentare un piano di risanamento alla Corte dei Conti con alcuni margini di manovra. Viceversa, le misure correttive, tipo l’aumento delle aliquote, scattano automaticamente
Il dissesto finanziario è stato introdotto per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano con l’articolo 25 del Decreto Legge 2 marzo 1989: in seguito questo istituto si è modificato, seguendo un’evoluzione che lo ha portato a trovare il maggiore equilibrio possibile fra i diritti dei cittadini e i diritti dei creditori dell’ente.
Il dissesto finanziario di un Comune è una procedura che coinvolge sia la politica che il mondo economico-finanziario. L’art. 244 del Testo Unico D. Lgs. n. 267 del 2000 stabilisce che si ha dissesto finanziario quando il Comune non è più in grado di assolvere alle funzioni ed ai servizi indispensabili oppure quando nei confronti dell’ente esistono crediti di terzi ai quali non si riesce a far fronte con il mezzo ordinario del ripristino del riequilibrio di bilancio né con lo strumento del debito fuori bilancio.
Il «pre-dissesto» è stato promosso come la soluzione morbida a quei default comunali dei quali diversi sindaci sono, da tempo, largamente consapevoli. Il Piano di Riequilibrio, anche detto Pre-Dissesto, ha una durata di 10 anni e può prevedere la richiesta di accesso al Fondo di rotazione; fatto questo che comporta una maggiore rigidità nelle conseguenze e nei controlli sull’applicazione delle misure previste.
Quindi, in base agli art. 243 (e seguenti bis, ter, quater), le conseguenze sul piano finanziario saranno le seguenti: aliquote o tariffe dei tributi locali nella misura massima consentita; copertura integrale del servizio smaltimento rifiuti con i proventi della tariffa; copertura del servizio acquedotto con i proventi della tariffa; copertura dei costi di gestione dei servizi a domanda individuale.
Nel piano di riequilibrio deve essere dimostrato che gli oneri dei contratti trovano copertura nel bilancio e devono essere consolidate le relative scritture contabili, dimostrando che le somme che le società iscrivono a credito nei confronti dell’ente trovano corrispondente iscrizione fra i debiti di quest’ultimo.
La mancata definizione di un piano di rientro espone dunque un’amministrazione ai tanto temuti interessi passivi sul debito: giorno dopo giorno infatti, anche se non si contraggono nuovi debiti, l’esposizione debitoria aumenta, proprio per effetto degli interessi. I mutui vengono rinegoziati allungando i tempi di pagamento ma aumentando le rate, le finanziarie erogano prestiti ad interessi del 14%; insomma, più o meno ciò che succede a qualsiasi famiglia che abbia bisogno di liquidità.
Nel momento in cui viene dichiarato il dissesto del comune, sindaco, giunta e consiglio resterebbero in carica ma verrebbero coadiuvati da una commissione espressamente designata dal Ministero degli Interni.
La commissione si occuperebbe del disavanzo pregresso, mentre l’amministrazione gestirebbe il bilancio “risanato”. La sola ipotesi di commissariamento del Comune si verificherebbe nel caso in cui l’amministrazione non dovesse approvare il bilancio di previsione.
L’eventuale dichiarazione del dissesto di fatto congelerebbe invece la scadenza del bilancio stesso, mettendo in moto una procedura del tutto diversa per la definizione e l’approvazione del bilancio stesso; le conseguenze maggiori del dissesto finanziario si hanno sotto il profilo contabile.
Viene chiesto all’Ente locale di “contribuire” al risanamento attraverso l’adozione di provvedimenti eccezionali. I provvedimenti da adottare in materia di personale e di tributi locali sono ritenuti così pesanti che gli enti arrivano il più delle volte alla dichiarazione di dissesto solo quando, a seguito delle azioni esecutive dei creditori che pignorano le somme della cassa comunale, non è più possibile pagare neppure gli stipendi al personale dipendente.
La procedura di risanamento necessaria a ritrovare l’equilibrio finanziario, viene affidata dal Testo Unico degli Enti locali all’organo straordinario di liquidazione ed agli organi istituzionali dell’ente (sindaco, giunta, Consiglio comunale). Il primo provvede al ripiano dell’indebitamento pregresso con i mezzi consentiti dalla legge mentre gli altri assicurano condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto.
L’organo straordinario di liquidazione ha potere di accesso a tutti gli atti dell’ente locale, può utilizzare il personale ed i mezzi operativi dell’ente locale ed emanare direttive burocratiche. L’ente locale è tenuto a fornire, a richiesta dell’organo straordinario di liquidazione, idonei locali ed attrezzature nonché il personale necessario.
L’organo straordinario di liquidazione può auto-organizzarsi, e, per motivate esigenze, dotarsi di personale, acquisire consulenze e attrezzature le quali, al termine dell’attività di ripiano dei debiti rientrano nel patrimonio dell’ente locale. In ogni caso di accertamento di danni cagionati all’ente locale o all’erario, l’organo straordinario di liquidazione provvede alla denuncia dei fatti alla Procura Regionale presso la Corte dei conti ed alla relativa segnalazione al Ministero dell’interno tramite le prefetture.
Il default di un ente locale produce una serie di effetti in cascata che ne irrigidiscono l’operatività soprattutto in ambito economico-finanziario e sociale, ma anche politico perché i suoi effetti si ripercuotono sugli amministratori considerati colpevoli di aver causato il crack.
Trattandosi di misure largamente impopolari, molti Comuni hanno dichiarato il dissesto soltanto nel momento in cui si sono trovati impossibilitati a pagare gli stipendi. Quando cioè la situazione contabile era già largamente compromessa. Talmente compromessa che ci sono comuni che hanno addirittura dichiarato il “doppio dissesto”, ovvero un secondo fallimento prima ancora di essersi risanati. Ma la normativa è cambiata nel corso degli anni, e di fatto oggi è molto meno “conveniente” per i Comuni, dichiarare il dissesto.
Dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione.
Le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, nelle quali sono scaduti i termini per l’opposizione giudiziale da parte dell’ente, o la stessa benché proposta è stata rigettata, sono dichiarate estinte d’ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell’importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese.
I pignoramenti eventualmente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto non vincolano l’ente ed il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell’ente e le finalità di legge.
Dalla data della deliberazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria.
Il Comune che va in dissesto non può contrarre mutui e non può impegnare per ciascun intervento somme complessivamente superiori a quelle definitivamente previste nell’ultimo bilancio approvato, comunque nei limiti delle entrate accertate. I relativi pagamenti in conto competenza non possono mensilmente superare un dodicesimo delle rispettive somme impegnabili, con esclusione delle spese non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi.
Per le imposte e le tasse locali, diverse dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, le aliquote e le tariffe di base vengono innalzate nella misura massima consentita: la delibera non è revocabile ed ha efficacia per cinque anni.
Per la tassa smaltimento rifiuti solidi urbani, gli enti che hanno dichiarato il dissesto devono applicare misure tariffarie che assicurino complessivamente la copertura integrale dei costi di gestione del servizio e, per i servizi produttivi ed i canoni patrimoniali, devono applicare le tariffe nella misura massima consentita dalle disposizioni vigenti.
Per i servizi a domanda individuale (ad esempio mense scolastiche, scuolabus, etc), il costo di gestione deve essere coperto con proventi tariffari e con contributi finalizzati almeno nella misura prevista dalle norme vigenti.
Gli amministratori che la Corte dei Conti riconosce responsabili, anche in primo grado, di danni cagionati con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire incarichi pubblici, per un periodo di dieci anni.
I sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili, inoltre, non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo.
Negli anni passati il debito è stato la grande leva che ha permesso ai sindaci di poter disporre di notevoli entrate aggiuntive per finanziare, tra l’altro, propagande elettorali e clientelismi. Disponibilità di cassa – priva di reali coperture – che ha consentito di presentare ai propri elettori, di volta in volta, bilanci allegri e immaginifici, lasciando in eredità alle amministrazioni successive l’onere di dover far fronte ai deficit che man mano si accumulavano. Tuttavia a pagarne il prezzo maggiore sarebbe ancora una volta la cittadinanza.
Probabilmente sarebbe sin troppo semplice riuscire ad eludere lo stato finanziario di un ente in continua regressione, tuttavia risulterebbe di significativa rilevanza poter effettuare alcuni accorgimenti tecnico-amministrativi, attivando un processo di anti-dissesto finanziario, ovvero, partendo da una attenta e approfondita analisi delle reali condizioni economiche dell’ente, nonché della stessa Relazione di Fine Mandato, sino ad avviare delle manovre simil-dissesto determinate proprio dagli stessi dettami tecnici previsti dalla normativa in caso di dissesto finanziario vero e proprio e adeguandoli e graduandoli alle difficoltà soggettive del Comune e del territorio.
Realizzare un piano personalizzato anti-dissesto basato su alcuni obiettivi come ad esempio: “incentivare la lotta agli evasori fiscali, ai morosi e agli allacci abusivi del settore idrico; definire la riscossione di somme provenienti da accertamenti tributari legati alle tassazioni pregresse; verificare le scadenze varie e fissarne il conseguente rinnovo; moderare l’utilizzo degli impianti di riscaldamento e raffreddamento degli uffici nel superfluo; razionalizzare l’eventuale personale in esubero; ottimizzare al meglio il patrimonio disponibile; ridurre maggiormente il consumo di carta e stampati con conseguente dematerializzazione ed informatizzazione dell’ente; ecc..”.
Un Piano anti-default che potrebbe apparire come un vero e proprio programma politico-elettorale visto e rivisto in tutte le salse all’italiana, ma ciò nonostante, la differenza si riscontrerebbe proprio perché incentrato sul risparmio della spesa pubblica e su una vera razionalizzazione delle risorse disponibili e quindi impostato proprio su criteri di buona Amministrazione. Semplicemente il rispetto di quanto le norme già prevedono, nonché la reale applicazione.